Valle del Belice. Notte tra il 14 ed il 15 gennaio 1968. La terra trema. Non è un uragano, non è uno tsunami, è il terremoto... 9° grado della scala mercalli, una forza capace di lasciare dietro di se circa trecento morti e più di novantamila feriti ed altrettanti senzatetto. "Paesaggio da bomba atomica" lo definì un pilota che sorvolò la zona subito dopo il tragico evento. Una ferita impossibile da guarire anche dopo più di 50 anni.
Poggioreale, splendido centro urbano fondato dal principe Morso Naselli nel 1642, è uno dei paesi della valle del Belice distrutti da quell'angelo della morte che, dopo quasi mezzo secolo, giace lì, in silenzio, un monumento al dolore.
Addentrarsi all'interno di Poggioreale è sempre faticoso, e non si parla di fatica fisica, ma emotiva.
Fotografare non è facile. Entrare dentro case abbandonate, tra indumenti e giornali d'epoca, banchi di scuola, libri per bambini, automobili abbandonate, frantoi vuoti, dà perfettamente la dimensione di un evento disastroso che fa parte integrante della storia della Sicilia.
Il dolore si sente come fosse un vento che fa gelare il sangue, un paese oramai deserto ma che ancora si intravede vestito con l'abito della domenica, un abito fatto di colori tipici dei paesi siciliani; i tetti delle case, i muri dai colori sgargianti, i pavimenti ancora con le maioliche del tempo, giocano a nascondino facendo capolino tra le macerie.
Poggioreale si visita con ordine, compostezza, ma soprattutto silenzio, un silenzio rispettoso, si entra in un luogo di culto, in un monumento al ricordo.
Novantamila persone senza casa non sono un numero ma un boato, e trecento morti un grido di silenzio che tutti dovrebbero ascoltare in preghiera.